È stato pubblicato il 14 giugno scorso il Piano per la transizione ecologica (PTE) dell’Italia, approvato dal Comitato interministeriale per la transizione ecologica (CITE) con delibera dell’8 marzo.

Il Piano nazionale di transizione ecologica risponde alla sfida che l’Unione europea ha lanciato con il Green Deal: assicurare una crescita che preservi salute, sostenibilità e prosperità del pianeta con una serie di misure sociali, ambientali, economiche e politiche senza precedenti.

Il Piano si sviluppa a partire dalle linee già delineate dal Piano di ripresa e resilienza (PNRR) proiettandole al completo raggiungimento degli obiettivi al 2050.

Nella prima parte presenta la cornice legislativa europea e nazionale entro la quale trovano fondamento i macro-obiettivi da perseguire nei prossimi 30 anni e le leve economiche e politiche per renderla possibile.

Il Pte rinvia poi a successive pianificazioni settoriali (Piano integrato energia e clima, Strategia biodiversità, Strategia per l’economia circolare, ecc.), i cui contenuti vengono riassunti e anticipati sinteticamente nelle otto aree seguenti che ne rappresentano i contenuti essenziali.

  1. la decarbonizzazione;
  2. la mobilità sostenibile;
  3. il miglioramento della qualità dell’aria;
  4. il contrasto al consumo del suolo e al dissesto idrogeologico;
  5. il miglioramento delle risorse idriche e delle relative infrastrutture;
  6. il ripristino e il rafforzamento della biodiversità;
  7. la tutela del mare;
  8. la promozione dell’economia circolare, della bioeconomia e dell’agricoltura sostenibile.

La soglia temporale del Pte arriva fino al 2050, “anno in cui l’Italia deve conseguire l’obiettivo, chiaro e ambizioso, di operare “a zero emissioni nette di carbonio” e cioè svincolandosi da una linearità tra creazione di ricchezza e benessere con il consumo di nuove risorse e/o aumento di emissioni”.

Il Pte individua i presupposti per il successo della transizione ecologica:

  • il consenso, la partecipazione e un approccio non ideologico alle questioni aperte. Sarà necessaria la volontà collettiva di collaborare al di là delle divergenze, che dovrà unirsi alla piena disponibilità a cambiare comportamenti e pratiche consolidate e ad operare concretamente attraverso l’impegno pubblico, dei singoli cittadini, delle imprese e del settore no-profit;
  • centralità della ricerca scientifica nella produzione di innovazione;
  • semplificazione delle regole che governano l’attuazione dei progetti, in modo da rendere possibile l’impegnativa opera di trasformazione nei tempi e nei modi previsti”.

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